di G. Luigi Palma
L’anno che si chiude non è stato, per le Professioni, un grande anno: la maggior parte vissuto con grande apprensione per una serie di provvedimenti alcuni annunciati, altri promessi, altri ancora, imposti. Tutti, sostanzialmente, contro e a danno dei professionisti. Tutti, certamente, a danno dei cittadini.
Governo e Parlamento, entrambi colpevolmente ondivaghi sul tema professioni, hanno l’uno varato e l’altro approvato provvedimenti confusi e confusivi, costosi e potenzialmente pericolosi per la collettività.
Non bastava - evidentemente - il caos determinato da alcune delle novità introdotte dalla mini- riforma dell’agosto 2012. Sembrava difficile fare di peggio: invece il Parlamento – con il complice silenzio del Governo – è riuscito a farlo allo spirare della Legislatura, ed ha toccato il fondo con l’approvazione di una legge, di evidente fetore elettoralistico, che regolamenta le associazioni delle cosiddette “professioni” non organizzate in ordini e collegi: un atto, a dir poco, indecente perpetrato mercoledì 19 dicembre – in sede legislativa - dalla 10a Commissione Attività Produttive della Camera.
Non esito a dire che siamo di fronte all’11 settembre delle Professioni, quelle vere: perché con la pubblicazione in Gazzetta, le pseudo-professioni e gli altrettanti pseudo-professionisti potranno essere legittimati a svolgere attività per le quali i Professionisti, quelli veri, hanno dovuto acquisire una laurea, svolto un tirocinio ed infine superato un esame di Stato.
E’ bene non dimenticare che il sistema Professionale ordinistico del nostro Paese è strutturato in 27 organi nazionali, 118 sedi regionali e 1.759 sedi territoriali. La rete dei Professionisti partecipa attivamente al processo di innovazione del Paese con importanti risultati sul piano sociale, culturale oltre che economico. Il contributo delle Professioni giuridico-economiche, tecniche, sanitarie e socio-sanitarie – oltre al valore aggiunto in termini di rilevanza e valore sociale – è stimato attorno a 250 miliardi di euro, circa il 12% del Pil. Rilevante l’importanza in termini occupazionali.
Anche per questi motivi le Professioni ordinistiche hanno il dovere di rivendicare un ruolo sempre più importante nel sistema sociale, culturale ed economico del nostro Paese. Un ruolo in cui è centrale, ma di questo né il Governo né il Parlamento si sono minimamente preoccupati, la soddisfazione e la tutela del cliente/utente.
Voglio ricordare alcuni dei principi essenziali, comuni a tutte le Professioni, e che definiscono il professionalismo, quello vero: la Repubblica tutela le Professioni intellettuali, come espressione del lavoro e come patrimonio di conoscenze e di competenze al servizio della collettività; sono definite Professioni intellettuali quelle basate sull’esercizio di attività lavorativa a prevalente contenuto intellettuale e incidenti su diritti e valori costituzionali, su beni e risorse di interesse generale collettivo e aventi consistente rilevanza sociale; l’accesso alle Professioni intellettuali è subordinato al superamento dell’esame di Stato, specifico di ciascuna Professione, e all’iscrizione all’albo del corrispondente ordine o collegio professionale; la funzione di garanzia pubblica sull’esercizio delle Professioni intellettuali è assunta dagli Ordini e Collegi, sotto la vigilanza dello Stato.
Questi principi sono distanti anni luce da quelli che caratterizzano la legge appena approvata. Essa esplicitamente - e colpevolmente - delega completamente ad associazioni private l’individuazione dei requisiti necessari allo svolgimento di attività che non hanno alcun carattere professionale disegnando, di fatto, un sistema interamente ed esclusivamente fondato sull’autoreferenzialità e
sull’autocertificazione, privo, inoltre, di organismi indipendenti cui affidare le opportune procedure di valutazione, controllo e accreditamento.
L’applicazione di questo principio anche nell’ambito della salute significa che lo Stato rinuncia, apertamente ed esplicitamente, a garantire un’adeguata formazione dei professionisti ed abbandona ogni controllo sui livelli qualitativi delle loro prestazioni: abdica alla fondamentale funzione di responsabile della salute dei cittadini. La professione di psicologo e le prestazioni che essa ricomprende sono indissolubilmente legate al diritto alla salute che l’articolo 32 della Costituzione definisce come un diritto dell’individuo e un interesse della collettività. Il diritto alla salute viene in tal modo calpestato, consentendo di affidare – letteralmente – anche a maghi e fattucchiere la salute dei cittadini.
Per questo stiamo valutando tutte le azioni possibili – ricorsi e quant’altro – contro un provvedimento che apre scenari a dir poco inquietanti.
Nel 2013 questa legge scellerata inizierà a produrre i suoi devastanti effetti: tutti stiano certi che la nostra vigilanza sarà massima, pronti come siamo, a controllare con ogni possibile mezzo che siano tutelati i sacrosanti diritti dei cittadini.
So per certo che – in particolare - la comunità degli Psicologi saprà gestire una condivisa “politica professionale”, libera dall’autoreferenzialità e priva di scorie corporativistiche, ma fortemente ancorata ad una identità professionale così come tratteggiata dalla nostra Legge di ordinamento e dal nostro codice deontologico ed ancor più fortemente orientata alla qualità dei servizi professionali offerti.
Sono convinto però che tutto ciò non sia più sufficiente perché la psicologia e soprattutto gli psicologi vedano riconosciuto il ruolo che spetta loro nella nostra società. Oltre alla buona politica professionale, credo nell’assoluta necessità vi debba essere, parallelamente, un nostro impegno diretto anche per una buona Politica: solo così la cultura psicologica potrà essere una risorsa utile per indicare buone soluzioni e costruire sviluppo per la nostra società.