Da venerdì 17 maggio, in preparazione di un progetto di legge regionale per la parità e contro le discriminazioni di genere, la commissione Parità della regione Emilia Romagna sta svolgendo una serie di audizioni per acquisire contributi da enti, organizzazioni e associazioni interessate. Il 7 giugno si è parlato di prevenzione e contrasto alla violenza di genere. Questo il mio intervento:
Si tende oggi a considerare vinta la battaglia per l’uguaglianza uomo donna e ad affermare l’avvento di una società post-femminista, di una società cioè dove il femminismo ha perso la sua ragion d’essere. Eppure, nonostante le misure adottate, possiamo renderci conto facilmente che le donne continuano a non godere, nelle società occidentali contemporanee, di una condizione di parità di diritti e le differenze di genere rimangono tra quelle più salde ed importanti (Brannon, 2008; Brighouse, Wright, 2008; Deegan, 2008). Se nella sfera pubblica sono presenti chiari modelli di equità e uguaglianza cui tendere, ciò non è altrettanto vero nella sfera privata perché le norme che regolano gli aspetti e le dinamiche di questi due mondi sono diverse, e fanno sì che vi sia un diverso grado di giudizio e di giustificabilità delle azioni e dei vissuti.
Ed è proprio nel privato, nella coppia e nella famiglia, che la violenza di genere trova la sua massima espressione, è qui che troviamo più morti e feriti sia nel corpo che nella psiche, donne vittime di violenza silenziosa quotidiana, stalking, violenza fisica, stupro, omicidio. Nella sfera cosiddetta “privata” i diritti fondamentali di cittadinanza di molte donne - diritto alla vita, all’integrità fisica e psichica, alla salute, alla dignità e alla libertà - che costituiscono i valori inviolabili della persona sui quali si fonda il nostro ordine democratico vengono spesso violati addirittura senza che le stesse vittime ne siano consapevoli. Per le vittime è difficile sottrarsi soprattutto per la presenza di una cornice significante che non permette o permette solo in parte l’attribuzione a comportamenti individuali estremi di significati diversi da quelli che attribuirebbero loro in un altro ambito, così come è difficile per i carnefici sottrarsi ad un modello relazionale dominio/sottomissione che offre facile puntello ad identità fragili e insicure. Sia le donne che gli uomini in una relazione di violenza di genere soffrono della mancanza di autonomia, non si concepiscono al di fuori di quella relazione e non cessano di ripetere gli stessi tentativi di cambiamento (aggressione/riconciliazione). Quando poi alcuni fatti estremi escono dalla sfera “privata” non è così facile per la vittima ottenere il sostegno necessario. Per sfuggire alla responsabilità il persecutore tenta con ogni mezzo di favorire l’oblio. Se non riesce a ottenere il segreto attacca la credibilità della sua vittima e se non è in grado di ridurla al silenzio cerca di fare in modo che nessuno la ascolti. La sua difesa spesso presenta queste caratteristiche: “non è mai accaduto” “la vittima esagera” “la vittima mente” “la vittima se l’è cercata e in ogni caso è tempo di dimenticare il passato e di andare avanti”. Più potente è il persecutore, più grande la sua possibilità di determinare e definire la realtà tanto che l’esperienza della vittima può diventare indicibile.
Come bene ci descrive Judith Lewis Herman (92), esperta di traumi, per lo spettatore “la tentazione di prendere le parti del persecutore è molto forte. Tutto ciò che egli esige è che lo spettatore non faccia nulla. Quest’ultimo, da parte sua fa appello all’universale desiderio di non vedere, non sentire, non parlare del "male". La vittima al contrario chiede di condividere il suo fardello di dolore, chiede azione, coinvolgimento, memoria. Per sostenere l’autenticità di un evento violento è fondamentale un contesto sociale che protegga l’incolumità della vittima e unisca quest’ultima ai testimoni in una reciproca alleanza.”
Le Forze dell’ordine, la Magistratura i Servizi sanitari e sociali, i Giornalisti sono, in molte occasioni, i primi ad entrare in contatto con episodi di violenza di genere, e ne favoriscono od ostacolano il riconoscimento. La loro partecipazione risulta altresì cruciale al momento di mettere in azione meccanismi di monitoraggio e prevenzione per evitare che il fatto si produca.
La violenza esercitata contro le donne costituisce in primo luogo un attentato alla salute fisica e psicologica; pertanto, gli attori che lavorano in questo ambito acquistano un ruolo rilevante tanto nella individuazione del fenomeno come nell’assistenza alle vittime.
Per questo si deve poter contare sulla disponibilità di Psicologi e Psicoterapeuti in tutti questi contesti per erogare il primo soccorso psicologico alle vittime e per garantire una qualità dei servizi di assistenza psicologica in ogni fase del percorso di tutela della vittima e di elaborazione del trauma. Stessa attenzione andrebbe dedicata alla riabilitazione dell’aggressore. E’ ugualmente importante garantire che tutti gli attori che intervengono sul fenomeno della violenza ricevano una formazione adeguata per l’attuazione delle attività di prevenzione, individuazione precoce, assistenza, soccorso e vengano sensibilizzate e addestrate ad evitare il rischio di ritraumatizzazione che non infrequentemente le vittime devono subire da parte delle stesse agenzie deputate alla loro tutela.